Il Palazzo Comunale, costruito nel XV
secolo probabilmente come propaggine meridionale del castello dei conti
Radicati, rappresenta uno dei rari esempi in Piemonte di edifici civili in
stile gotico e risente dell’influenza dei broletti lombardi.
L’edificio ha
forma irregolare, è basato su portici ad arco a sesto acuto che seguono
l’andamento della via sottostante e sotto i quali si trovano piccole botteghe artigianali
e l’ingresso del grande salone comunale, costruito nel 1884.
La facciata
d’ingresso presenta finestroni quattrocenteschi ad arco con formelle in cotto
decorato in stile gotico flamboyant. Il palazzo è composto da tre piani ed un
cortile detto del Collegio, così chiamato per via dell’antica sede della scuola
per l’insegnamento della grammatica, della retorica e dell’umanità, fondata nel
1754.
Al fondo del cortile sono ubicate le antiche carceri mandamentali,
significativo esempio di edificio di servizio ottocentesco. All’interno del
cortile si trova l’ingresso del Municipio, attorniato dalle lapidi
commemorative dei caduti cocconatesi nelle guerre d’indipendenza italiane del
XIX secolo.
Parzialmente
nascosta dagli alberi, la Torre di Cocconato è uno degli elementi
caratterizzanti il paesaggio del comune monferrino.
Eretta all’inizio del X
secolo, quando i Conti Radicati, Signori di Cocconato, costruirono alla
sommità della collina il loro castello, al quale si accedeva attraverso due
porte. Parzialmente distrutti nel XIV e XV secolo, a seguito delle guerre
tra Guelfi e Ghibellini e fra il Marchese di Monferrato e i Visconti di Milano,
gli edifici fortificati vennero ricostruiti alla fine del Quattrocento.
Nel 1556 il castello, disputato tra tedeschi e francesi, venne da questi ultimi
definitivamente distrutto per ordine del maresciallo de Brissac e rimase
pressoché intatta solamente la torre.
Il terreno sul quale sorgeva venne
venduto, intorno al 1800 dai Conti Radicati a Pietro Sarboraria.
In quegli anni nella costruzione fu installata una stazione per
il telegrafo ottico Chappe, voluto da Napoleone per collegare Parigi con
Milano e Venezia. Il telegrafo ottico venne utilizzato per le comunicazioni fra
Italia e Francia dal 1809 al 1814.
Nel 1836, ormai gravemente
degradata, la torre medievale venne demolita ed al suo posto sorse un mulino a
vento, uno dei pochissimi realizzati in Piemonte. Il mulino, probabilmente a
causa di difetti meccanici intrinseci e della scarsità del vento, venne
successivamente smantellato nel 1851.
L’edificio fu trasformato in abitazione,
diventando “Villa Giuseppina” (oggi “Villa Pia”): la torre venne completata
superiormente con un terrazzo praticabile e all’interno furono ricavati due
piani abitativi, con apertura di finestre ad arco acuto in quello inferiore e
circolari in quello superiore. Questa è in sintesi la storia di un edificio dal
quale, nelle giornate limpide, è possibile godere di un eccezionale panorama:
si riescono infatti a vedere la catena delle Alpi e l’Appennino Ligure, nonché
molte città tra cui Novara, Vercelli, Saluzzo, Cuneo e, con un buon
cannocchiale, perfino Milano, distante circa cento chilometri in linea d’aria.
Con il
trasferimento, avvenuto tra il XII e XIII secolo, dell’abitato dal
fondovalle alla parte più elevata della collina, ove all’inizio del X
secolo era sorto il castello dei conti Radicati, si rese necessaria
la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale, in sostituzione della
decadente chiesa del distrutto castello detta di Santa Maria de Lussello.
Della nuova chiesa, intitolata a Santa Maria della Consolazione, si iniziò
a parlare nel 1661, ma la sua costruzione poté iniziare solo nove anni
dopo e venne inaugurata solennemente nel 1689; successivamente,
nel 1770, il campanile venne sopraelevato.
Nell'Ottocento, a seguito del
considerevole incremento demografico la chiesa fu prolungata anteriormente di
due campate nel 1859-60 ed affrescata dal pittore Carlo Antonio
Martini di Robella su disegni di don Edoardo Mentasti nel 1867.
La chiesa è stata completamente restaurata alla fine degli anni Novanta e
riconsacrata il 1° gennaio 2000.
L’edificio, dalla imponente mole e poggiante
sulle fondazioni delle precedenti costruzioni, è a navata unica con volte a
botte, presenta otto cappelle laterali, in parte di proprietà, un tempo, di
famiglie nobili del luogo. Le cappelle a destra dell’entrata sono nell’ordine:
Cappella di Sant’Isidoro, con pala
raffigurante San Sebastiano e il vescovo Isidoro veneranti la Vergine
della Consolazione (XIX secolo).
Cappella di San Giuseppe, con tela
raffigurante la Sacra Famiglia di Pietrantonio (XIX secolo).
Cappella della Madonna del Rosario, con dipinto
appartenente alla scuola di Guglielmo Caccia (XVII secolo).
Cappella dell’Angelo Custode del Comune
di Cocconato, con pala di Giovanni Francesco Sacchetti, pittore della
corte sabauda, raffigurante l’Angelo custode difensore dal demonio con il
Cristo e la Madonna in Paradiso (1675).
Quelle a
sinistra, dopo il battistero:
Cappella dei Santi Crispino e Omobono,
con pala raffigurante i due santi (XIX secolo).
Cappella di Sant’Antonio da Padova, con
pala raffigurante il santo ai piedi del Crocifisso (XVII secolo).
Cappella dell’Immacolata Concezione con
pala d’altare raffigurante la Madonna della Concezione (XVII secolo).
Cappella di Ognissanti, con pala di
scuola genovese, raffigurante la Santissima Trinità e tutti i Santi
(1652-60).
La maestosa
pala absidale (1731), opera del pittore valsesiano Vitaliano Grassi,
raffigurante la Madonna della Consolazione ed i santi Fausto e Felice, patroni
di Cocconato, risulta di grande interesse per essere la più antica
rappresentazione iconografica dell’abitato, in cui si possono scorgere la torre,
il convento degli e la chiesa parrocchiale.
L'altar maggiore in marmi policromi
del 1724 custodisce la seicentesca urna in legno scolpito contenente le
reliquie dei santi patroni, che viene ostentata in occasione della festa
patronale. Alle pareti del presbiterio sono dipinti gli evangelisti. L’altare
rivolto al popolo ha un paliotto tripartito con la Nave di San Pietro, opera
della bottega del Guazzone (1730).
Sul pulpito è esposta la statua lignea
della Madonna del Rosario (1751), opera di Giuseppe Maria e Stefano Maria
Clemente. Sopra la bussola d’ingresso è situato l’organo, costruito
dai fratelli Lingiardi di Pavia nel 1860, con cassa lignea del
1760 scolpita dall’intagliatore Francesco Maria Bonzanigo di Asti,
dotato di oltre 1200 canne.
L’imponente facciata, in mattoni a vista, è ornata
da lesene e da un timpano.
La chiesa
della Santissima Trinità venne eretta nel 1617 in vicinanza della
porta detta di Mercato Vecchio, l’attuale via Roma, per voto della popolazione
contro la peste. Rappresentava la chiesa della Confraternita della Santissima
Trinità.
La costruzione dell’edificio si protrasse per decenni e venne ultimato
solo nel 1667. Nella seconda metà del Settecento furono costruiti il
porticato laterale, addossato a sud-est, e la sacrestia.
L’attuale facciata
venne completamente modificata tra fine Settecento e inizio Ottocento. È
delimitata da due lesene ornate da cornici sagomate su cui poggia il frontone
triangolare. Ai lati della porta si aprono due strette finestre con architrave
triangolare. Sopra la bussola d’ingresso è collocato il coro, sostenuto da
mensole lignee.
Il porticato è costituito da tre campate collegate da archi a
tutto sesto e coperte da volte a vela. Il campanile, situato all'angolo sud-est
della navata, è a base quadrata, formato da due registri sovrapposti e
copertura piramidale.
L’edificio è a unica navata, formata da due campate
contigue, separate da lesene su mensole; la volta a botte, intervallata da
lunette e costoloni, è completamente affrescata con scene raffiguranti San Giuseppe,
il San Giovanni Maria Battista Vianney (il Curato d’Ars) e il Santissimo
Sacramento; autore dei dipinti è Carlo Antonio Martini (1863).
L’altare
maggiore, attribuibile a un artigiano valsesiano della seconda metà
del XVII secolo presenta una pala con l’incoronazione della Vergine
attribuita alla bottega del Moncalvo; il paliotto è opera di Giacomo
Solari (1737).
Due gli altari laterali: quello di destra è intitolato a
Sant’Antonio da Padova (1650-60), con pala rappresentante la Sacra Famiglia con
i santi Giovannino, Nicola e Antonio da Padova, di pittore piemontese, e
paliotto in scagliola tripartito con la Madonna del Rosario, opera
della bottega dei Solaro (XVIII secolo). L’altare di sinistra è dedicato
a San Rocco, con una pala raffigurante la Madonna col Bambino assieme ai
santi Rocco, Sebastiano e Paolo (XVII secolo) e paliotto con stemma dei
Bocchiardi, di Cristoforo Solaro (1768).
Entro due nicchie sono conservate le
statue lignee della Madonna Addolorata (anteriore al 1749), con vestito di
seta nera e di Sant'Antonio da Padova. Nell'abside è esposta una tela
raffigurante la Madonna del Carmine con San Defendente e San Paolo
(fine XVIII secolo), opera del pittore Giovanni Comandù, già nella
chiesa di San Defendente in frazione Vastapaglia. La chiesa ha subito lunghi
lavori di restauro negli ultimi decenni del Novecento.
La chiesa venne
costruita fra il 1747 ed il 1770 come oratorio della Compagnia delle Umiliate,
all’angolo fra via Roma e via XXIV Maggio, è in muratura di mattoni a vista con
irregolari inserimenti di pietre calcaree; l’interno presenta un’unica navata
con presbiterio più stretto e rialzato, separato dall’arco trionfale.
La
facciata, in stile barocco, è segnata da lesene angolari e frontone curvilineo;
il portoncino in legno a due battenti è incorniciato da un portale in mattoni.
Una piccola finestra rettangolare (ora tamponata) sovrasta il portale; una
seconda finestra è inserita nel timpano. La muratura verso via Roma presenta
due finestre sotto il cornicione.
Le volte sono a vela impostata su
quattro paraste nell’aula e a vela con costoloni nel presbiterio.
Sulla parete di fondo del
presbiterio vi è un’elegante edicola in stucco con colonnine dipinte a finto marmo
e capitelli corinzi. L’originario altare, di fattura analoga all’ancona, è
stato demolito in occasione dei lavori di restauro della chiesa, avvenuti nel
1985-87 e sostituito da un altare con mensa in legno, sorretta da due putti,
rivolto al popolo.
Nelle pareti laterali sono
collocati due grossi dipinti di fattura moderna, firmati M. Cortese, uno
dell’Annunciazione e uno della Madonna di Fatima, provenienti dalla
cappella-grotta di Lourdes nella villa Moiso in Cocconato.
Le notizie relative alle origini
della chiesa parrocchiale sono incerte e frammentarie. Dall’antica parrocchia
di San Giovanni di Cocconito, nel 1625 il parroco don Bernardo Prato,
trasportava la sua dimora e sede parrocchiale nell’attuale chiesa dedicata a
San Bartolomeo apostolo, che era, secondo il Rocca, la cappella di un convento
di frati detti Servi di Maria, che lo cedettero ai conti Radicati di Robella.
La chiesa di San Bartolomeo sorge
a fianco della strada comunale che collega Maroero con l’abitato di Cocconito.
Assurta a parrocchiale del piccolo comune (autonomo dal 1639 e sino al 1875),
venne presumibilmente ingrandita nel corso del Settecento e restaurata nel
1881. La facciata di ispirazione tardo-barocca è ripartita in tre campi,
delimitati da lesene. La parte centrale è coronata da un frontone curvilineo.
Nella parte centrale è inserito il portone in legno a due battenti, contornato
da lesene culminanti con un elaborato pseudo-capitello, e che sorreggono
l’architrave decorativo. Sul lato destro si erge il campanile in mattoni a
vista. All’interno la chiesa si presenta a unica navata, con alcuni sfondati
intercomunicanti, in cui sono ospitati i due altari laterali e il fonte
battesimale. L’altare maggiore risale agli ultimi decenni del Settecento, è
realizzato in muratura decorata con scagliola ad effetto finto marmo. L’altare
di destra è dedicato alla Madonna del Buon Consiglio, quello di sinistra a San Giuseppe e venne
costruito nel 1882.
La chiesa è decorata nella volta
da alcuni affreschi del pittore Cleto Gibello, attivo esponente dell’arte sacra
torinese nella prima metà del Novecento, che probabilmente li realizzò nel
1938, ad integrazione di precedenti decorazioni del 1881
La chiesa nel 2005 è stata
interessata da un intervento di consolidamento strutturale e risanamento
conservativo.
La prima notizia della costruzione
di una cappella nella borgata Vastapaglia è presente nei testimoniali di visita
del vescovo mons. Broglia del 1667,
in cui ordina di far eseguire le disposizioni testamentarie
dei fratelli Giovanni Battista e Guglielmo Sandigliano. Attestata nel 1770 come
«capella campestre a Vastapaglia sotto il titolo di San Diffendente», nel 1828 venne ingrandita, assumendo
l’attuale aspetto.
La facciata principale è
delimitata ai lati da due strette lesene. Il bel portale d’ingresso lievemente
aggettante è sottolineato anch’esso da due lesene che sorreggono il fregio
recante un cartiglio in cui, fino ad alcuni anni addietro, era ancora
leggibile, in parte, un’iscrizione dipinta «D.O.M. S. Defendenti dicatum 1828».
Al di sopra del cartiglio una cornice modanata conclude decorativamente il
manufatto.
La chiesa è ad
aula unica, conclusa da un’abside semicircolare e con il campanile, di forme
barocche all’angolo sud-orientale, a tre registri sovrapposti; la piccola
campana è datata 1847.
L’altare in muratura decorato a finto marmo lucido e
realizzato molto probabilmente da Domenico Tabacchi stuccatore comasco
itinerante. Del medesimo stuccatore è la cornice dell’ancona che sovrasta
l’altare sulla parete di fondo dell’abside che custodiva una pregevole tela
raffigurante la Madonna del Carmine
con San Paolo e San Defendente, risalente alla fine del Settecento, del
monregalese Giovanni Comandù, pittore attivo alla corte sabauda. La tela del
Comandù conservata a San Defendente nel 1996, dopo il restauro, fu spostata
nella chiesa della Santissima Trinità. Attualmente nella chiesa di Vastapaglia
è collocata una fedele riproduzione.
La chiesa della
Madonna della Neve (anche detta della Pieve) è posta su un colle oggi coltivato
prevalentemente a vigneto, è situato tra la valle Versa e la valle di
Marcellina, nella quale, a partire dall’Ottocento, avvennero numerosi
ritrovamenti di materiali e reperti di epoca romana. L’importanza storica del
sito è ribadita, in epoca medievale, dal passaggio di una strada che in parte
ripercorreva il tracciato della strada romana tra Hasta Pompeia (Asti) e
Industria (Monteu da Po).
La prima
attestazione documentale dell’antica chiesa è del 1250 in una lettera di papa
Innocenzo IV al pievano di Cocconato e testimonia la formazione della pieve di
Cocconato (Plebs Cochonati)
appartenente alla diocesi di Vercelli. A partire dalla fine del Cinquecento,
seguendo una sorte comune ad altre pievi, la chiesa subì una lunga decadenza,
lasciando spazio alla parrocchiale sita alla sommità del paese, nelle vicinanze
del castello. Alla fine del Seicento la chiesa, dedicata alla Madonna della
Neve, fu riedificata, nonostante il sito fosse stato spogliato per reimpiegare
i materiali nella costruzione della chiesa parrocchiale. Le caratteristiche della
nuova costruzione, a una sola navata e due cappelle laterali, sono rilevabili
da un disegno del catasto comunale del 1790.
Nei secoli successivi, con lavori
di profonda ristrutturazione, la chiesa assunse l’aspetto attuale, con la
demolizione delle cappelle laterali e la costruzione di un piccolo campanile in
mattoni (1832). Gli ultimi consistenti interventi di restauro all’interno
dell’edificio furono eseguiti tra il 1989 ed il 2017.
Molte informazioni sulla
antica pieve derivano dalle risultanze dello scavo archeologico eseguito
all’interno dell’edificio. Numerosi rimaneggiamenti subiti dalla costruzione
nel corso dei secoli ne hanno reso quasi del tutto invisibili le origini
romaniche, che si sono rivelate solo grazie allo scavo, da cui è emerso che la
chiesa originaria potrebbe risalire al X secolo. Furono infatti ritrovati
elementi dalle caratteristiche tipologiche altomedievali, tra i quali rocchi di
colonne e un capitello cubico, che è l’unico elemento decorativo presente
attualmente nella chiesa e utilizzato come base dell’altare. Il capitello è
decorato sui quattro lati, di cui tre chiaramente leggibili: ogni faccia è
ricoperta da semplici motivi realizzati con marcato segno graffito (tondi a
cerchi intrecciati, rosette, fasce a fogliette). La decorazione completa del
capitello ed il ritrovamento, documentato dai rilievi, di una piccola abside
semicircolare, possono far supporre che l’edificio fosse a tre navate, concluso
da absidi.
La facciata ottocentesca è sormontata
da un timpano che nasconde la copertura e dal campanile in mattoni sul lato
destro. L’interno risulta completamente riplasmato: dell’impianto seicentesco
sono attualmente visibili le eleganti volte a botte con unghie sia nell’aula
sia nel presbiterio.
Il santuario della Madonna delle Grazie
risale al XV secolo per “racchiudervi un pilone votivo, portante dipinta a
fresco l'immagine della Vergine”.
La facciata si sviluppa su due livelli,
coronata da un timpano triangolare su cui poggiano due angeli. Il livello
inferiore è costituito da un porticato a tre arcate, mentre quello superiore,
ripartito da lesene, presenta ai lati due nicchie contenenti le statue di San
Sebastiano, a sinistra, e di un santo vescovo (forse San Grato), a destra, e nella
parte centrale una finestra trifora. Sul lato destro si eleva il campanile.
La
chiesa presenta un’unica navata, con il solo altare maggiore, andato perduto a
causa di un incendio nel 2015. L’altare ligneo era costituito da una struttura
formata da vari elementi scolpiti; sui lati si elevavano due colonne tortili
con al centro una statua lignea della Vergine del 1615. La pala d’altare
raffigurava il Padre Celeste nell'atto di incoronare la Madonna delle Grazie,
con angeli che reggono il mantello stellato. Durante recenti restauri sono
state rinvenute, dietro l’altare, porzioni di un affresco del XV secolo, in cui
si identificano Sant’Antonio Abate a sinistra, la Vergine al centro e San
Sebastiano a destra. Dopo l’intervento conservativo l’affresco è stato
posizionato su apposita struttura metallica di supporto e collocato sulla
parete destra della chiesa. Sulla parete di sinistra è posto un dipinto del
XVII secolo, raffigurante la Madonna con santi e angeli.
Il santuario, detto
della Madonnina, rappresenta da sempre uno dei luoghi di culto più frequentati
dalla popolazione cocconatese, meta un tempo di processioni e luogo di
esposizione di oltre 300 ex-voto, tra i quali alcuni risalenti al Seicento (oggi
conservati nella canonica della parrocchia di Cocconato). La festa dell’Assunta
del 15 agosto rappresentava la festa patronale delle borgate e cascinali siti
nella zona (Maroero, Campetto, Spagnolino, Solza, Mangialasino).
Nelle
Rationes decimarum della diocesi di
Vercelli nel 1299 risulta attestata la chiesa di San Pietro de Tovo, nella bogata Tuffo, dove veniva
officiata la messa soltanto la domenica da un sacerdote mandato dalla
parrocchia di Cocconato.
Sul
sito dell’antica cappella decadente venne costruita a metà Settecento una nuova
chiesa. Per celebrare le funzioni veniva mandato un vice curato dalla chiesa di
Cocconato.
Nella
seconda metà del Settecento gli abitanti della frazione richiesero più volte la
possibilità di creare una parrocchia indipendente dalla chiesa di Cocconato,
istanza suffragata da due motivazioni principali: «Per esser anche meglio
assistiti nelle cose spirituali, e pel motivo che l’antica parrocchia di
Cocconato, che prima era alla Madonna della Pieve, veniva trasferita sulla
punta più elevata del paese perché più comoda alla popolazione del capoluogo
verso il principio del 1700, quindi scomodissima per quei di questo cantone,
con strade impraticabili per 6 mesi dell’anno».
Nel
1759 i tuffesi riuscirono ad ottenere lo «smembramento» da Cocconato e
l’erezione della nuova Parrocchia di Tuffo, con il pagamento di lire 400 e
l’obbligo di offrire «due torchie in peso di lire una per caduna» durante la
festa dei Santi Fausto e Felice, patroni della parrocchia di Cocconato.
Visto
lo stato decadente dell’edificio don Allemano si fece promotore e finanziatore
per la costruzione di una nuova chiesa e nel 1832 iniziarono i lavori. La nuova
chiesa, a unica navata, presenta una facciata intonacata, caratterizzata da due
ordini di lesene, impostate su un alto zoccolo e coronata da frontone
triangolare sorretto da fitte mensole modanate; al centro del livello superiore
è inserito un rosone che attualmente risulta tamponato. Il portone a due
battenti, in legno finemente scolpito, è sormontato da una lunetta, in cui
l’affresco originario non è oggi più leggibile. Tra la coppia di lesene di
destra è collocata una lapide a ricordo dei tuffesi caduti nella prima guerra
mondiale. L’altare maggiore in
stucco è del 1795, opera di Francesco Maria Bagutti.
Il
pittore Carlo Antonio Martini di Robella venne incaricato, nel 1858, di
dipingere tutta la volta della chiesa con vari episodi dell’Antico e Nuovo
Testamento. Da allora l’interno dell’edificio non subì nessun cambiamento, se
non alcuni restauri finalizzati al ripristino delle pitture nel 1900 ad opera
del pittore dilettante Nicola Antonio di Robella.
Nel 1874, a conclusione dei
lavori, venne innalzato il campanile.
L’organo a canne al di sopra
dell’entrata è opera di Giovanni Mentasti di Varese del 1888.
Nel
1939 la cappella laterale di San Giuseppe (in origine intitolata a San Carlo)
fu oggetto di un nuovo intervento di rifacimento e nell’occasione venne
collocata nella nicchia sopra l’altare una statua del Sacro Cuore di Gesù.
Con
decreto vescovile del 30 giugno 1986, la Parrocchia di Tuffo venne soppressa e
la chiesa reinserita sotto l’amministrazione della Parrocchia di Santa Maria della
Consolazione di Cocconato.
In frazione Tuffo, oltre la chiesa dei Santi Pietro e
Paolo, nel nucleo di case in regione Bracca, a sud della provinciale che attraversa
la borgata, in vicinanza dell’antico palazzo Bottino, si erge una piccola
chiesa dedicata a San Grato, vescovo di Aosta e protettore delle coltivazioni.
Costruita nel 1697, è a un’unica aula rettangolare, con volta a botte.
All’esterno, in corrispondenza dell’angolo sud-est dell’edificio vi è un
piccolo ed elegante campanile ottocentesco.
L’unica pala presente nella chiesa, attribuibile a maestranza operante in
ambito biellese nella seconda metà del Seicento, raffigura la Madonna con il Bambino
assisa su un arco di nuvole tempestose dalla quale scende la grandine che San
Grato convoglia in un pozzo; sulla sinistra è anche raffigurato San Giovanni
Battista, figura legata al santo vescovo aostano, per aver questi trovato,
secondo la tradizione, la testa del precursore in fondo a un pozzo.
La
facciata è delimitata lateralmente da due lesene angolari che si impostano su
un’alta base complanare ad esse e culmina con un frontone triangolare,
arricchito da cornici mistilinee su fregio. L’ingresso è sottolineato da un
portale poco sporgente a timpano modanato, affiancato da due finestre
rettangolari. Il portoncino ligneo conserva elementi scolpiti geometrici di
fattura coeva all’edificio.
La chiesa di San Martino in
frazione Bonvino di Cocconato venne costruita nel 1821, su un terreno donato da
Giordano Perotto; l’edificio, interamente in mattoni a vista, è ad aula unica,
con abside semicircolare.
La facciata principale è
delimitata ai lati da due paraste angolari. Il portale d’ingresso lievemente
aggettante è sottolineato anch’esso da due lesene che sorreggono il fregio
recante un cartiglio in cui è leggibile una scritta dipinta «D.O.M. in honorem
Sancti Martini». Al di sopra del cartiglio una cornice modanata conclude
decorativamente il manufatto.
Dal lato destro, oltre il piano di
spiccato del tetto, si eleva il campanile a due registri sovrapposti e cella
campanaria:
L’altare maggiore è costruito
i mattoni, ma con finitura superficiale
a marmorino e lustro venne realizzato da Domenico Tabacchi, di cui sono incise
le iniziali «D.T. 1821».
La pala dell’altare maggiore
raffigura San Martino e San Carlo Borromeo, mentre sulla parete destra vi è un
dipinto raffigurante San Rocco e un santo vescovo (forse San Grato), più
recente rispetto all’impianto dell’edificio.
Sulla tribuna-cantoria realizzata
in legno con bella balaustra in ferro battuto, sono conservati una trentina di
ex-voto figurati, datati tra Ottocento e Novecento, ed alcuni cuori d’argento.
Nel
2012 la chiesa ha subito un intervento di risanamento ed è stata riaperta al
culto nel novembre 2017, in
occasione della festa di San Martino.
Le origini del
mercato di Cocconato risalgono al Medioevo, ma fu solo ad inizio Ottocento,
grazie all’avvocato Melchiorre Giordano, sindaco di Cocconato, a cui fu
intitolata la piazza nel 1891, che il mercato venne regolamentato e ingrandito,
attraendo gli abitanti dei paesi vicini. Nel 1882, per ospitare il notevole
numero di capi di bestiame presente durante le giornate di mercato, su un
terreno della famiglia Giordano fu edificata la tettoia comunale.
La struttura
è a forma rettangolare ed ha una lunghezza complessiva di 47 metri in mattoni a
vista a nove arcate a sesto ribassato sorrette da pilastri quadrati. Cessata la
sua funzione di foro boario nella seconda metà del Novecento, dopo vari
interventi di restauro, oggi la tettoia è uno dei più notevoli esempi rimasti
in Monferrato di tettoie civiche ed è utilizzata come luogo del mercato
ortofrutticolo e di manifestazioni folkloristiche e sportive cocconatesi.
Fin dal 1642
Giovanni Matteo Sacco otteneva le patenti di speziale e nello stesso anno
sposava Maddalena Garetto, dalla quale ebbe tre figli: uno di questi, Orazio,
seguì le orme paterne e a sua volta ebbe quattro figli; all’unico maschio,
Giovanni Tommaso Lodovico, il nonno lasciò in eredità una piazza da speziale.
Questi morì nel 1797 ed essendo privo di discendenti diretti, le due piazze da
speziale e quella di fondichiere di cui era proprietario passarono alla sorella
Angelica, moglie di Giovanni Antonio Marchisio di Montiglio, e da questa ai
figli Giuseppe e Antonio Domenico, notaio, rispettivamente per un terzo e due
terzi; lo speziale Giuseppe Pasquale cedeva la sua piazza a Giuseppe Marchisio
e quest’ultimo nel 1814 la passava, unitamente al terzo di proprietà delle due
piazze ereditate, al fratello Antonio Domenico.
In questo modo il notaio si
ritrovò proprietario delle tre piazze di Cocconato, che cedeva al figlio
Innocenzo, farmacista.
Nel 1841 la piazza di via
Roma passò ad Andrea Fasolis, originario di Cerreto, diplomatosi in farmacia
all’Università di Torino nel 1830: si deve a lui l’affrescatura della volta.
Dopo il 1879 cedette la farmacia a suo figlio Giacomo e alla sua morte al di
lui figlio Giulio, che esercitò la professione fino alla sua morte avvenuta nel
1957. La farmacia venne acquistata dal dottor Michelangelo Montanaro,
originario di Montegrosso d’Asti, che provvide a far
restaurare gli affreschi ormai degradati.
Oggi la storica ex-farmacia di via
Roma, che ha mantenuto le caratteristiche originali del Settecento nel mobilio
e l’insegna di inizio Novecento «Dott. G. Fasolis - Farmacia», è adibita ad
attività commerciali.
Al centro della volta campeggia
un’affresco dell’arcangelo Gabriele, attribuito al pittore Carlo Antonio
Martini di Robella, che affrescò le chiese di Santa Maria della Consolazione, della
Santissima Trinità e dei Santi Pietro e Paolo a Tuffo. La figura
dell’arcangelo, con un vestito verde e avvolto in un drappo rosso, è
rappresentata con i suoi tipici attributi: nella mano destra stringe
un’ampolla, nella destra regge una bilancia a due piatti; al suo fianco
l’angioletto che regge un libro aperto con la scritta in latino e la datazione
dell’opera.
Ai confini occidentali
dell’abitato, al bivio fra strada San Carlo e strada degli Orti, sorge l’antica
cappella di San Carlo Borromeo, profondamente rimaneggiata nel corso del
Novecento.
Probabilmente eretta dal Comune
per un voto e da questi riparata nel 1775,
presenta un corpo di fabbrica originario ad aula rettangolare a cui
anteriormente è stato addossato, presumibilmente a metà Ottocento, un ampio
porticato. La facciata attuale dell’aula è dominata da un’ampia vetrata in
ferro, in cui si apre il portoncino d’ingresso. All’interno la volta è a botte,
sottolineata da una cornice in stucco che interessa le pareti laterali.
L’altare, con mensa dalle
plastiche forme baroccheggianti, in muratura intonacata e ornata da cornici
mistilinee in stucco, è addossato alla parete absidale ed è arricchito da una
interessante pala settecentesca raffigurante San Carlo Borromeo con l’arcangelo
Gabriele e, in alto, la Madonna con il Bambino. Alle pareti sono appese
semplici oleografie, mentre sopra l’ingresso sono presenti alcuni ex-voto
figurati e una stampa incorniciata del 1898 raffigurante la Sindone, il cui
culto è strettamente legato a quello di San Carlo Borromeo.
Nel corso dei secoli, più volte il
piccolo edificio si trovò in cattive condizioni. Nel 1667, il vescovo di
Vercelli Michelangelo Broglia dopo la visita pastorale emanò un decreto in cui
«attesa l’evidente rovina che minaccia nella volta si interdice sinché sia
raccomodato in sicuro». Due secoli dopo la cappella era nuovamente in pessimo
stato e nel 1883 il Comune ne affidò a Francesco Mezzo la manutenzione. Nel
1913 il consiglio comunale stipulò una nuova convenzione nella quale Pasquale
Masoero si impegnava «a conservare integro il possesso del Comune attorno alla
chiesa, senza adibirlo ad alcun uso, all’infuori del taglio degli erbaggio».
Nel 1964 la cappella, in cattivo
stato, venne restaurata con il contributo di numerosi fedeli e del Comune;
nell’ambito dell’intervento l’originaria facciata venne profondamente
modificata, con l’installazione della vetrata in ferro.
Un intervento di risanamento
conservativo, rifacimento dell’impianto elettrico e tinteggiatura dell’edificio
è stato infine effettuato nel 1989. Nell’occasione venne anche restaurata la
tela posta sopra l’altare.
Il
convento dei frati dell’ordine di Sant’Agostino venne edificato nella prima
metà del Quattrocento con i materiali del distrutto castello; era composto da
un edificio a due piani con un chiostro centrale ed una chiesa a tre navate con
annesso campanile dedicata a Sant’Agostino. La comunità dei frati, stando alle
fonti documentali, fu sempre esigua, con al massimo una decina di componenti,
ma grazie alle opere di assistenza spirituale e sociale, oltre che di
mediazione (nel 1708 i frati evitarono il saccheggio del paese da parte
dell’esercito francese) riuscì ad esercitare una rilevante influenza sulla
popolazione nei i tre secoli di permanenza.
Grazie alle donazioni ricevute, il
convento arrivò a detenere tre cascine con annessi diversi ettari di terreno. A
causa dello stravolgimento politico-sociale portato dalle invasioni della
Francia rivoluzionaria e della conseguente soppressione degli ordini religiosi
contemplativi, il convento venne soppresso nel 1798 per ordine di papa Pio VI.
Gli ultimi frati, dopo un lungo tergiversare, in parte favoriti dalla
complicità di alcune famiglie cocconatesi, lasciarono il convento solo nel
1802.
Demolitane la chiesa ed inserito nell’elenco dei beni nazionali francesi,
nel 1806 fu ceduto alla famiglia Gromo, che lo trasformò nella propria
abitazione. Nei secoli successivi, salvo una parentesi tra il 1944 e il 1978,
quando divenne convento dell’Istituto Suore di Sant’Anna di Torino, l’edificio
passò a diverse proprietà e di recente è stato completamente ristrutturato.
L’idea di realizzare l’opera in via Mazzini è
nata dal recupero dell’antico orologio meccanico della torre campanaria della
chiesa parrocchiale, realizzato nel 1887 dalla fabbrica P. Gramaglia di Torino.
Creatore della pregevole scultura è il prof. Giuseppe Conrotto, che ha anche
sponsorizzato i lavori.A restaurare l’orologio, ricostruendo artigianalmente i
particolari mancanti e adattandolo alla volumetria della scultura è stato
Angelo Alluto, scienziato autodidatta. L’orologio, dotato di un artistico
quadrante in pietra (il masso è stato fortunosamente trovato in un campo), è
posto all’interno di una struttura in metallo e cristallo; la campana,
proveniente dalla chiesa della Pieve, è stata gentilmente messa a disposizione
dalla Parrocchia di Cocconato. Particolarmente suggestiva l’illuminazione
notturna. La zona adiacente il volume scultoreo è stata gradevolmente sistemata
utilizzando materiali tipici locali, quali la pavimentazione in porfido e
vecchi paracarri in pietra che delimitano l’area. Accanto, un ulivo ricorda le
particolari peculiarità climatiche della Riviera del Monferrato.
Costruito in più fasi fra il XIII e il
XIX secolo, l’imponente Palazzo Martelletti, si affaccia su piazza Statuto, il
cuore della Cocconato dei primi decenni del Novecento, quando era sede di
negozi, botteghe artigiane, un bar-ristorante e una banca.
L’edificio, oggi noto col nome di Ida
Marchisio Martelletti (1893-1982), che ne fu proprietaria nel Novecento. Madamin, come da tutti veniva chiamata,
animò per lungo tempo la vita culturale e sociale cocconatese. Nata a Torino da
famiglia agiata, nel 1919 sposò Martelletti, ufficiale degli alpini,
trascorrendo alcuni anni in India. Morto nel 1922 il marito, si stabilì
definitivamente a Cocconato, collaborando attivamente con la SPIC (Società
Promotrice Iniziative Cocconatesi) e fondando una filodrammatica che con i suoi
spettacoli di prosa appassionò generazioni di cocconatesi.
Ristrutturato negli anni Novanta del
Novecento, il palazzo è oggi destinato in parte ad abitazioni private e in
parte ad attività alberghiera e di ristorazione.
Eretta nel 1886 lungo la
provinciale per Piovà Massaia, a poca distanza dal sito ove sorgeva una chiesa
dedicata allo stesso santo, la cappella di San Sebastiano presenta una facciata
in mattoni a vista, con un massiccio porticato inserito nella facciata, un
tempo luogo di riparo e sosta per i viandanti. La cappella è a pianta
rettangolare con abside semicircolare.
La chiesa, antica parrocchiale di
Cocconito, è posta alla sommità di una collina, circondata da aree boscate e
prati, sovrastante la strada delle Serre. Risalente al XV secolo, venne
ricostruita durante l’Ottocento.
La chiesa, orientata, è a pianta
rettangolare. La facciata è caratterizzata da paraste angolari, collegate
orizzontalmente da un cornicione che delimita il timpano, suddiviso su due
livelli, a salienti interrotti. Il portale d’ingresso è costituito da due
paraste concluse da una semplice trabeazione; la porta lignea a due battenti è
affiancata da due finestre rettangolari. Sopra all’architrave del portale una
terza apertura rettangolare illumina l’aula. All’interno la volta è a botte con
unghie; L’altare, in muratura intonacata,
è addossato alla parete di fondo, sulla quale è affrescato un dipinto
raffigurante l’Immacolata fra San Giovanni Battista e San Giuseppe.
Nel 1999 per iniziativa di un
gruppo di abitanti di Cocconito, la chiesa è stata oggetto di un intervento di
risanamento conservativo.
In frazione Cocconito, lungo la
strada che porta alla piccola borgata Bricco, si erge l’antica cappella di San
Rocco, costruita nel Seicento come ex voto dai fratelli Domenico e Secondo
Ferrero, in occasione di una malattia contagiosa del bestiame.
L’edificio, a pianta rettangolare,
presenta la facciata caratterizzata da paraste angolari al centro della quale è
situata la porta a due battenti sottolineata da piccole paraste, a cui nel
tempo è scomparsa l’architrave. A fianco sono presenti due piccole finestre
quadrate a doppia strombatura. Superiormente nella muratura intonacata è
leggibile la presenza di una finestra a semicerchio successivamente tamponata.
Fra il 1882 e il 1885, per
iniziativa dei patroni, venne sostituita la porta, intonacata la facciata,
eseguite riparazioni interne, abbellito l’interno dai pittori Bianchi e Brezzi.
Infine nel 1888 di fronte alla cappella fu collocata un’elaborata croce in
ghisa e ferro battuto.
Prima del restauro del 1985,
l’altare era appoggiato alla parete di fondo, mentre ora è rivolto verso i
fedeli e il piano poggia su un basamento in mattoni. Sulla parete absidale è
presente un dipinto, probabilmente coevo alla costruzione dell’edificio,
raffigurante San Rocco, Sant’Antonio Abate e la Madonna con Bambino;
Le microarchitetture sacre disseminate nelle
campagne e, in misura minore, nelle aree urbanizzate, costituiscono
l’espressione materiale della religiosità popolare, una forma di
privatizzazione della devozionalità, parallela al culto ufficiale, la cui
valenza sacrale è andata progressivamente scemando negli ultimi decenni.
I tanti piloni votivi che oggi segnano il
territorio cocconatese sono, salvo rare eccezioni, tutti databili fra gli
ultimi decenni dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del Novecento. È presumibile
che vi fossero piloni votivi di epoca molto più antica, di cui si è persa ogni
traccia, così come di tante croci campestri e nicchie votive.
La costruzioni dei piloni si deve, presumibilmente,
agli stessi agricoltori o muratori del posto, senza uno specifico progetto:
molti di questi manufatti risultano di architettura essenziale, altri denotano
una maggiore ricercatezza formale, con richiami a stilemi neogotici e
neoclassici.
I piloni di fine Ottocento furono eretti, in
genere, per la protezione delle campagne e del bestiame, invece quelli
risalenti al periodo tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento sono in molti
casi ascrivibili a un segno di ringraziamento per il ritorno dalla guerra.
La maggior parte delle dedicazioni principali
sono alla Madonna, nelle sue varie iconografie, dall’Immacolata (la più
frequente), all’Ausiliatrice e Consolata. Presenti, come dedicazione principale
e secondaria, anche molti santi, soprattutto quelli protettori delle attività
agricole, quali San Rocco, San Grato, Sant’Isidoro. Non mancano le dedicazioni
al Sacro Cuore di Maria e a quello di Gesù, il cui culto si diffuse in Piemonte
nella seconda metà dell’Ottocento.
Se strutturalmente le edicole sono, salvo alcuni
casi, in buone o discrete condizioni, particolarmente critica appare la
salvaguardia dell’arredo interno: il degrado delle pitture da un lato e le
effrazioni dall’altro hanno portato al sostituire quadri e statue originali con
altri manufatti di fattura spesso dozzinale. In altri casi si sono
definitivamente persi i dipinti originali affrescati nella nicchia, la cui
deperibilità è dovuta alla materia pittorica e al tipo di lavorazione, ma anche
al distacco del supporto in malta. Attorno a molti piloni cresce una
vegetazione non controllata, che ne nasconde sempre più la visibilità e, in
alcune situazioni, le piante rampicanti pervadono ormai anche la struttura.
La salvaguardia di queste microarchitetture,
disperse in un vasto territorio, diventa complessa, anche per il fatto che sono
tutte di proprietà privata e, in più casi, non vi sono più le famiglie che le
costruirono e le accudivano.
In ogni caso,
permane, anche nei casi di passaggi di proprietà, un generalizzato rispetto e
considerazione per queste edicole sacre, come testimoniano alcuni recenti
restauri, anche se non sempre filologicamente corretti; altri piloni risultano
invece in totale stato di abbandono. In ogni caso, caratterizzano ancora oggi
il paesaggio rurale e testimoniano l’antica tradizione di porre le strade e i
campi sotto la protezione divina, una tradizione sicuramente precedente
all’avvento del cristianesimo.
1
Pilone votivo della Madonna con il
Bambino (frazione Foino) – 1911
2
Cappelletta
della Madonna di Fatima (frazione Tabiella) – 1954
3
Pilone votivo della Madonna (frazione
Tabiella) – 1927
4
Pilone votivo della Madonna (strada provinciale
Cocconato-Piovà, bivio per Vastapaglia) – fine XIX sec.
5
Cappelletta di Maria Ausiliatrice (frazione
Gesso) – 1938
6
Pilone votivo della Madonna Pellegrina
(località Rosengana) – 1930
7
Pilone votivo della Fuga in Egitto
(strada Casalengo-Pracosto) – fine XIX sec.
8
Pilone votivo della Madonna della
Grazie (strada provinciale Cocconato-Lauriano località Pedrinetto) – inizio XX
sec
9
Pilone votivo di Maria Ausiliatrice
(frazione Solza) – 1876 (ricostruito 2012)
10
Pilone funerario di Gesù Crocifisso (strada
provinciale Cocconato-Lauriano, frazione Maroero) – 1881
11
Pilone votivo della Madonna di Lourdes
(cascina Austino) – 1980
12
Pilone votivo della Consolata (frazione
Tuffo, strada del Pilone) – 1883
13
Pilone votivo dell’Immacolata
Concezione (frazione Tuffo, strada Caranzana) – 1930
14
Pilone votivo del Sacro Cuore di Maria
(frazione Tuffo, strada Caranzana) – 1946
15
Pilone votivo di San Rocco (frazione
Tuffo, Ca’ Traversa) – 1890
16
Pilone votivo di Maria Ausilitrice
(frazione Tuffo, strada Monsimone) – 1910
17
Pilone votivo del Sacro Cuore di Gesù
(frazione Cocconito, strada Sarbolera) – 1950
18
Pilone votivo dell’Immacolata (frazione
Cocconito, strada Bricco) – 1920
19
Pilone votivo di San Giovanni (frazione
Cocconito, strada Serre) – 1884
20
Pilone votivo (frazione Cocconito,
regione Casèt) – 1930
21
Pilone votivo dell’Immacolata (frazione
Cocconito, borgata Valle) – 1933
22
Pilone votivo (frazione Bonvino, strada
Vai) – 1931
23
Pilone votivo della Madonna col Bambino
(frazione Bonvino, strada Fassimagna) – 1920
24
Pilone votivo di Sant’Isidoro (frazione
Bonvino, cascina delle Serre) – 1899
25
Pilone votivo di San Rocco (bricco
Gattone) – 1904
Pilone votivo dell’Immacolata Concezione (via
San Carlo, villa Partengo) – 1963